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Femore e anziani, binomio pericoloso

In vent'anni la mortalità per la rottura dell'osso della coscia non ha registrato variazioni significative Colpisce soprattutto gli «over 69», una fascia di popolazione in crescita esponenziale: presto sarà un problema

Già oggi è una significativa causa di morte nella popolazione al di sopra dei 69 anni, ma in un futuro non troppo lontano è destinata - purtroppo - ad ingigantirsi. Quelli provocati dalla frattura del femore rappresentano mediamente l'1% tra i tutti i decessi che colpiscono la popolazione anziana, senza contare che il 15 - 20% dei pazienti con una frattura dell'estremità prossimale del femore (la «testa», quella più vicina all'anca) muore entro un anno dalla lesione, e che nell'arco degli ultimi vent'anni il trend di mortalità per questo genere di frattura non ha subito alcun mutamento, nonostante gli enormi progressi compiuti dalla Medicina.
Una situazione non certo da sottovalutare, se si pensa che la popolazione bergamasca oltre i 65 anni è destinata a crescere in maniera esponenziale nel giro di pochi decenni: se nel 2003 gli «over 65» erano poco più di 173 mila, nel 2010 saranno quasi 203 mila per poi diventare 243 mila nel 2020, 296 mila nel 2030, 356 mila nel 2040 e 363 mila circa nel 2050. «Stime al ribasso - commenta Silvio Rocchi, direttore generale dell'Asl - perché fatte senza tener conto degli inevitabili progressi che la medicina continuerà a fare. Proprio per questo è molto più probabile che si debba parlare di 600 mila anziani, su una popolazione di 1 milione e 250 mila residenti».
L'incidenza mondiale delle fratture del femore è in continua crescita, parallelamente all'aumento dell'età media della popolazione. «Questa patologia - spiega Alberto Zucchi, già responsabile dell'Ufficio epidemiologico dell'Asl di Bergamo, oggi direttore del Servizio epidemiologia e sistemi informativi dell'Asl provincia di Milano 3/Monza, autore di uno studio epidemiologico sulle fratture del femore negli anziani in Bergamasca - rappresenta un'importante causa di morbosità e mortalità in tutte le fasce di età, ma in particolare tra i soggetti più anziani: si è infatti calcolato che circa il 15 - 20% dei pazienti con frattura dell'estremità prossimale del femore muore entro un anno dall'evento traumatico. Queste fratture avvengono generalmente in seguito ad una caduta accidentale sull'anca e sono più comuni tra gli anziani, con una netta prevalenza per il sesso femminile (il rapporto è di 1 a 3). La maggior incidenza di questo tipo di fratture negli anziani è correlata ad una serie di fattori, tra cui osteoporosi, malnutrizione, attività fisica ridotta, diminuzione dell'acuità visiva, alcuni deficit neurologici, riflessi alterati, disequilibrio e astenia (debolezza). Ciò evidenzia ricadute importanti anche nell'approfondimento scientifico della qualità degli interventi clinici: il numero di giorni che intercorre tra il ricovero e l'intervento è un indicatore importantissimo, in quanto vi sono forti evidenze di relazione tra rischio di morte e ritardo nell'effettuazione dell'intervento per frattura del femore nei soggetti anziani, anche dopo la "correzione" della frattura fatta in ospedale in attesa di finire in sala operatoria».
Due le principali fonti di dati analizzate per l'indagine dell'Asl: i registri di mortalità per causa dell'Istat (1981-2001) e l'archivio delle schede di dimissioni ospedaliere di tutti i bergamaschi ovunque ricoverati tra il 1997 e il 2002. Il dato complessivo che emerge dalla ricerca è che negli ultimi 21 anni - per la popolazione al di sopra dei 69 anni - non è avvenuto nessun sostanziale mutamento nel trend di mortalità per le fratture del femore, né per i maschi né per le femmine, anche se la curva ha «oscillato» in più punti, verso l'alto e verso il basso. Un «immobilismo» che contrasta con la progressione registrata (in negativo) dai tumori e (in positivo) dalle malattie del sistema cardiocircolatorio: la mortalità dei primi è passata dal 21,55% al 30,63% mentre quelle delle seconde dal 51,16% al 42,21%.
La mortalità per la frattura del femore colpisce maggiormente i maschi rispetto alle femmine: su 815 ricoveri registrati tra il 1997 e il 2002 tra la popolazione maschile i decessi sono stati 28, con un percentuale pari al 3,44%, mentre sui 3.758 ricoveri delle donne, i decessi sono stati 46, con una percentuale dell'1,22%, oltre due punti in meno. Nelle donne - maggiormente colpite dalla frattura del femore, sia per il diffuso fenomeno dell'osteoporosi nella popolazione femminile, sia per la loro longevità rispetto agli uomini - è però in continua crescita il numero dei ricoveri. Nei maschi al di sopra dei 69 anni, tra il 1999 e il 2002 i ricoveri sono saliti da 103 a 168, con un tasso di incidenza ogni 10 mila abitanti salito da 29,21 a 47,65. Nelle donne con più di 69 anni, i 565 ricoveri del 1997 (un tasso di 87,25) sono diventati 719 nel 2002 (un tasso pari a 110,88).
Le donne si fratturano il femore in età più avanzata rispetto agli uomini: nel 2002 (ma i dati rispecchiano l'andamento anche di quelli precedenti), tra i 70 e i 74 anni si sono registrate 86 fratture tra le donne contro le 47 tra gli uomini, tra i 75 e i 79 anni il rapporto è di 172 contro 35, tra gli 80 e gli 85 anni di 162 a 22, tra gli 85 e gli 89 anni di 195 a 44 e oltre i 90 anni di 103 a 20. Nella popolazione maschile i Distretti Asl più colpiti dalle fratture al femore sono quelli dell'Alto Sebino, di Treviglio e di Romano (all'ultimo posto quello del Monte Bronzone e Basso Sebino), mentre nell'ambito femminile quello di Romano balza al primo posto, seguito dal Distretto dell'Alto Sebino, da quello di Bergamo e da quello di Treviglio. All'ultimo posto quello della Valle Imagna e Villa d'Almè.
Al. Ce.

 
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