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Nuovi centri commerciali? Solo a impatto zero

Saffioti (Forza Italia): priorità ai piccoli negozi, le grosse strutture non dovranno creare disagi al territorio

Il nuovo Piano triennale regionale del commercio non lo dice in modo chiaro, ma sembra evidente che in provincia di Bergamo, nei prossimi anni, non sarà autorizzata la realizzazione di centri commerciali. Uno spiraglio per qualche eccezione resta aperto solo nella media e nella bassa Pianura occidentale.
Ma uno stop complessivo è comunque un dato di fatto, che emerge anzitutto dalle dichiarazioni del relatore del Piano, il consigliere bergamasco di Forza Italia Carlo Saffioti: «Siamo passati da criteri quantitativi a criteri qualitativi e di impatto sul territorio per quanto riguarda la valutazione di autorizzazioni a nuove strutture. Di certo comunque, i nuovi criteri dovrebbero evitare concentrazioni esagerate tipo quella di Curno o della Bassa orientale». E sempre il nuovo regolamento commerciale tende a «scoraggiare» l'insediamento della grande distribuzione in zone montane e lacustri, dove i punti vendita di vicinato sono già in difficoltà. Ci sono poi i dati relativi agli obiettivi del precedente Piano triennale che per la Bergamasca parlano di uno sforamento delle superfici autorizzate per le grandi strutture di vendita. L'obiettivo, quindi, dovrebbe essere quello di rivitalizzare i piccoli negozi.
I NUMERI In provincia di Bergamo i punti vendita aperti nei primi sei mesi del 2006 sono stati 320, quelli chiusi 286, con un saldo di 34 nuovi negozi. È un dato al di sotto della media regionale (52 nuovi negozi), ma secondo solo a quello di Brescia (più 55 punti vendita) e di Varese (più 35). La Bergamasca è anche ben piazzata per quanto riguarda la concentrazione delle strutture commerciali su tutto il suo territorio: 848,46 metri quadri ogni mille abitanti per quanto riguarda i piccoli negozi (dato che segue quelli di Sondrio, Brescia e Mantova); 332,37 metri quadri ogni mille abitanti per la grande distribuzione, dietro ai 464,03 di Lodi, i 442,21 di Brescia e i 342,77 di Mantova. Più carente il dato della media distribuzione, 509,56 metri quadri.
Il vecchio Piano triennale in vigore dal gennaio del 2003 al dicembre del 2005, aveva fissato dei contingenti, dei parametri numerici per autorizzare l'apertura di nuove strutture commerciali. In provincia di Bergamo, nell'arco di tre anni, non si sarebbe dovuta superare l'autorizzazione di 4.933 metri quadri di nuovi punti vendita alimentari all'interno di grandi strutture commerciali e di 11.547 metri quadri per punti vendita di vario genere. Si è arrivati rispettivamente ad autorizzazioni per 6.785 metri quadri di alimentare e per 17.755 metri quadri di non alimentari, con uno sforamento evidente degli obiettivi del piano, di oltre il 50 per cento. Situazione che si è verificata anche a Sondrio e Brescia.
LA MAPPA Il nuovo Piano del commercio organizza in cinque ambiti il territorio bergamasco: quello del capoluogo, con Bergamo e tutti i Comuni limitrofi alla città; quello montano che comprende tutti i 138 Comuni a Nord della città; l'ambito lacustre con Castro , Costa Volpino , Lovere , Parzanica , Predore , Riva di Solto , Sarnico , Solto Collina , Tavernola ; quello commerciale metropolitano, che comprende Dalmine , Treviglio , e altri 77 comuni che ricoprono buona parte della media e bassa Pianura, ad esclusione dell'ambito, così definito, della Pianura lombarda, che nella Bergamasca riguarda Antegnate , Arzago d'Adda , Barbata , Cortenuova , Covo , Fara Olivana , Fontanella , Isso , Pumenengo e Torre Pallavicina .
Nella realtà attuale l'81 per cento della grande distribuzione commerciale bergamasca si concentra in soli 11 comuni: Bergamo , Seriate , Curno , Orio , Stezzano , Albano , Cortenuova, Antegnate , Romano , Caravaggio e Treviglio . Dove sembra ormai improbabile l'insediamento di nuovi centri commerciali.
I PICCOLI DA SALVARE Alla concentrazione attuale di grandi strutture si aggiunge il fatto che il nuovo Piano esclude, nei 138 comuni montani e nei 9 classificati come lacustri, l'insediamento di grandi strutture di vendita, perché altrimenti si rischierebbe il «l'ultima spallata» al commercio di vicinato, che già in Val Brembana e Valle Imagna, in particolare, soffre molto. In base alla suddivisione del territorio il Piano commerciale tenderà quindi ad «incentivare nell'ambito dei capoluoghi l'integrazione delle funzioni commerciali con l'attrattività urbana», ad esempio attraverso la rinascita di grandi magazzini di città, senza «corollari» di spazi di ristoro e ricreazione che caratterizzano ad esempio i grossi centri; per le aree montane l'obiettivo è invece «l'incentivazione di reti di media distribuzione», quindi di piccoli supermarket o di bazar che prestino attenzione a quelli che possono essere prodotti tipici e legati anche al turismo.
Più vaghe, invece, le indicazioni per l'ambito commerciale metropolitano e della Pianura, dove si incrociano la necessità di riorganizzare la grande distribuzione esistente, ad esempio nel caso della Bassa orientale, e di individuare aree ancora scoperte da determinati servizi, dove ad esempio i negozi di vicinato sono in calo.
I DUBBI La minoranza di centrosinistra, in Regione, ha commentato il nuovo Piano triennale così: «I buoi sono già scappati dalla stalla, i grandi centri sono già troppi». Il dubbio è che il Piano punti su criteri qualitativi per lasciare in realtà mani libere al settore della mega distribuzione.
«Non credo davvero che vi sia questo rischio – commenta il consigliere regionale Carlo Saffioti –: abbiamo abbandonato un'ottica dirigistica in base alla quale si calavano dall'alto, sul territorio, dei paletti numerici, per indicare quali centri commerciali autorizzare e quali no. Questi sono dati che vanno fissati in base alle dinamiche di consumo, quindi di mercato. E tra l'altro c'è da sottolineare, come appare chiaro, che né il vecchio Piano commerciale né quello precedente (dal 2000 al 2003) hanno saputo porre un freno alla grande distribuzione, nonostante i loro contingenti numerici».
«Oggi – continua il consigliere – proponiamo quindi un'ottica diversa, più liberale, che si basa su un concetto altrettanto semplice: l'impatto di una nuova struttura commerciale sul territorio dev'essere pari a zero, in base a quattro parametri diversi: viabilistico, occupazionale, ambientale e di impatto sui negozi di vicinato e sui prodotti locali, che sono la priorità. Una struttura viene cioè autorizzata quando non ha, fatto un bilancio dei vari aspetti, ricadute negative sul territorio. Per questo motivo il nuovo Piano pone una pregiudiziale sugli insediamenti in montagna, dove il vero obiettivo dev'essere quello di salvare i piccoli negozi, eventualmente con il supporto di punti vendita di media dimensione, di piccoli supermarket».
«Mi permetto di aggiungere – prosegue Saffioti – che basandoci sulla logica dell'impatto zero forse avremmo evitato concentrazioni esagerate di grandi strutture, com'è accaduto a Curno, o nel triangolo della Bassa Romano-Cortenuova-Antegnate. Non possiamo essere noi ad imporre ai cittadini di "evitare deprimenti tour consumistici", come ha suggerito anche qualche consigliere della maggioranza in Regione. Dobbiamo però applicare dei parametri, che evitino di snaturare il territorio. In quest'ottica le scelte della Regione saranno ponderate, e mi auguro anche quelle delle Province che ora dovranno redigere i loro Piani del commercio».
IL PIANO PROVINCIALE In base al Piano regionale ora la Provincia di Bergamo dovrà predisporre la sua programmazione commerciale sul territorio. Ma si è ancora in fase di studio: «Sapevamo che si sarebbe andati verso un Piano regionale che non dava più indicazioni in termini numerici – commenta l'assessore alla Pianificazione territoriale Felice Sonzogni –. A breve metteremo a punto una relazione che calerà i criteri qualitativi regionali sul territorio. È comunque chiaro che ci sarà una certa inversione di tendenza rispetto al passato».
Armando Di landro

 
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